Quando ero ragazzino, mi capitava di percorrere la via Bonfadini oltre il passaggio a livello e qualche volta superavo il margine della strada per correre nei prati adiacenti. Mai avrei pensato che da quelle parti potesse sorgere una rotonda per regolare il traffico automobilistico. Tantomeno avrei potuto immaginare una circolazione di veicoli addirittura congestionata, senz’altro rumorosa, a volte insidiosa.
L’incrocio tra via Vanoni e via Aldo Moro, infatti, è diventato un ganglio vitale per la viabilità cittadina. Mette in collegamento il centro con la tangenziale e la statale 38 in via dello Stadio. Anni fa lo era un po’ meno, non essendo ancora stato costruito il “Settimo ponte” sul Mallero.
Quando venni ad abitare proprio su quell’incrocio non c’era ancora la rotonda. Era il 1987. Il traffico veniva regolato dal semaforo ed era molto meno intenso dell’attuale. Ogni tanto, di sera, soprattutto nella bella stagione quando si lasciavano le finestre aperte, si sentivano frenate stridenti, schianti. Ti affacciavi e vedevi la scena dell’immancabile sinistro. Una notte ci scappò anche il morto. Tutto questo accadeva perché l’ampio incrocio, a una certa ora, risultava poco frequentato e tanti automobilisti frettolosi o nottambuli non badavano alla segnaletica che lampeggiava in giallo. Poi venne costruita la rotonda e gli incidenti si ridussero di molto, benché il traffico aumentasse.
La struttura non presenta vegetazione (fiori, siepi o altri elementi vegetali). È tutta in pietra, sormontata da due testone antropomorfe incomplete che si guardano.
Vivo da anni su quella rotonda e ormai ci ho fatto l’abitudine. Per fortuna il mio condominio è immerso nel verde. Una robusta siepe di recinsione lo difende dalle polveri stradali. Grazie agli infissi e ai vetri spessi delle mie finestre, mi sento ben protetto anche dai rumori.
Ogni tanto mi viene in mente una scena tragicomica. Rivedo mio padre quasi novantenne che gira sulla rotonda in bicicletta. Ha il cappello sulle ventitré, indossa un soprabito impermeabile e procede in precario equilibrio, pedalando con il rapporto più corto (per fare la minima fatica, ovviamente). Svolta ma tiene il braccio teso a indicare la direzione opposta. Dietro di lui avanza, tallonandolo a passo d’uomo, un mastodontico autoarticolato. È paziente, ma promette l’iradiddio.
Questo racconto è scritto da Giuseppe Novellino e fa parte della rubrica “Bozzetti sondriesi”.