La stradina porta l’appellativo enfatico di via, quando altro non è che un vicolo, addirittura cieco. Si stacca dalla via Parolo, là dove una volta c’era un passaggio a livello e oggi si apre un profondo viadotto; corre lungo la ferrovia ed è fiancheggiata da case, i cui giardini si affacciano su via Aldo Moro. È un angolo tranquillo della città. I treni disturbano assai meno di un normale traffico automobilistico perché circolano ad orario e stanno fermi di notte. Questo lo so per esperienza, perché ci ho abitato dal febbraio 1980 all’estate del 1987.
Ero in affitto nell’ultima casa del vicolo, una palazzina di recente costruzione immersa nel verde. Ospitava la sede della CGIL e questo comportava qualche disagio. Intendiamoci, si trattava di un disturbo relativo, non per l’ufficio in sé, ma per l’andirivieni di gente a tutte le ore della giornata. Facevo fatica a parcheggiare la macchina davanti a casa. Il più delle volte dovevo infilarla direttamente nel mio box seminterrato.
Qui sono nati i miei tre figli. Il terzo, Paolo, aveva tre anni quando lasciammo la casa di via Petrini per entrare in quella (più grande) che avevamo comprato in via Aldo Moro. È l’unico a non ricordarsi della prima dimora. Si stava bene, comunque, in quell’appartamento al primo piano che dava un po’ sui giardini condominiali e un po’ sulla ferrovia. I bambini giravano liberamente nel vicolo con le loro biciclettine, giocavano a palla nel prato adiacente. Solo dovevano stare attenti alle auto di coloro che andavano e venivano dal Sindacato.
I binari erano separati da uno di quei parapetti a liste di cemento che si vedono normalmente lungo le linee ferroviarie. Su di essi si arrampicava il luppolo che dava quei germogli tenerissimi che assomigliano agli asparagi selvatici e che i valtellinesi chiamano “levertiìs”. Qualche volte, in primavera, li raccoglievo e li facevo saltare in padella, secondo una ricetta di mio nonno Celso.
Ricordo una mattina del gennaio 1985. La grande nevicata.
Mi preparavo per andare a scuola, quando vidi, dalla finestra del bagno, il treno fermarsi. Era il diretto per Milano delle ore 7.40. Uscendo dalla stazione, aveva accumulato tanta neve ed era stato costretto a fermarsi perché il locomotore rischiava il deragliamento.
I sette anni che vissi in via Petrini non li posso dimenticare. In quel luogo vidi crescere il mio nucleo familiare.
Questo racconto è scritto da Giuseppe Novellino e fa parte della rubrica “Bozzetti sondriesi”.