Sembra banale parlare di questa viuzza sondriese che mette in comunicazione Viale Milano con la più dimessa via Del Grosso. Non lo è certo per gli abitanti, né per coloro che portano i bambini nella scuola elementare ivi esistente. Ma non lo è neppure per me, anche se non ci ho vissuto e con essa ho sempre avuto poco a che fare.
A via Bosatta mi lega un ricordo della mia giovinezza. Era il 1967. Avevo diciassette anni quando conobbi Fabrizio R..
Lui, di anni, ne aveva quindici. Quindi era una vera e propria matricola di quell’Istituto Magistrale dove io frequentavo la terza. Lo conobbi a scuola, durante l’intervallo, e subito mi colpì per la sua intelligenza e per la sua creatività. Era (ed è) un tipo estroso e brillante. Allora mi impressionò per due dei suoi interessi: la musica classica e la fantascienza. Della prima non sapevo nulla, della seconda avevo qualche idea, ma le mie conoscenze si limitavano ai grandi classici d’avventura futuristica, alla Giulio Verne per intenderci. Lui mi fece conoscere la rivista Urania, a cui era abbonato, e quindi mi svezzò per quanto riguardava quel tipo di lettura. In quanto alla musica classica, mi aprì un mondo fantastico che poi contribuì a riempire la mia esistenza di armonia e di bellezza.
Fabrizio, figlio unico, abitava in via Bosatta, all’angolo con via del Grosso. Casa sua cominciai a frequentarla in quei mesi dell’anno scolastico 1966/67. Ricordo che proprio per quelle visite serali i miei genitori mi diedero per la prima volta le chiavi di casa. Da via Nazario Sauro percorrevo la circonvallazione, attraversavo il Mallero e raggiungevo via Bosatta, completamente silenziosa e deserta. E ancor più lo era alle undici/undici e mezza, quando mi ritiravo.
In casa di Fabrizio, negli anni successivi, con lui e altri due amici partecipai a una bellissima attività musicale. Avevamo costituito un quartetto di flauti dolci (soprano, contralto, tenore e basso) e provammo a cimentarci con arrangiamenti da Telemann, Hendel e altri minori autori barocchi.
Via Bosatta era stata asfaltata solo una decina di anni prima. Ci volle la scuola elementare per contribuire a renderla più animata e più importante.
Quando mi capita di passare da quelle parti, non posso fare a meno di pensare alla mia giovinezza, a un’amicizia che mi ha arricchito.
Questo racconto è scritto da Giuseppe Novellino e fa parte della rubrica “Bozzetti sondriesi”.